Se c'è un merito da attribuire a Lina Wertmuller, è di essere stata la prima in Italia a parlare di AIDS al cinema.
Lo ha fatto con un opera amara e dolente, che non lascia trasparire l'happy end, ma riflette le paure, i timori, e soprattutto i pregiudizi che allora c'erano in questa malattia.
Il cast è notevole, ci sono attori coi controcaxxi e scusate l'espressione, da Rutger Hauer, a Faye Dunaway, fino al mito Peter O'Toole.
Lo sguardo di Lina Wertmuller è docile e comprensivo, non giudica i suoi personaggi, ma accompagna lo spettatore nelle loro vite, sta a noi se accettarli o meno.
Un film diverso e coraggioso, come non se ne vedevano molti negli anni ottanta in Italia.
E allora l'AIDS veniva vista come una peste, non so adesso, forse le cose sono un po' cambiate, fattosta che la malinconia di questo film non l'ho vista da nessun altra pellicola.
Certo negli anni novanta con la morte di Freddie Mercury le cose sono un po' esplose, anche se nel terzo millennio, ormai non si parla più di questa malattia, secondo me a torto.
Tutti noi dovremmo conoscere i rischi e i pericoli di un rapporto sessuale non protetto.
Anche se la medicina è andata avanti, non voglio certo vivere con una malattia di cui non c'è nè cura nè vaccino.
Questo ovviamente è un mio punto di vista.
In una notte di chiaro di luna, narra le gesta di un giornalista, che per fare un articolo si finge sieropositivo, per poi scoprire che è realmente sieropositivo, rivede la donna che amava e scopre di avere un figlio, anche se il film comincia con l'omicidio suicidio di una coppia che pensava di essere sieropositiva ma in realtà non lo era.
Un inizio forte per un film dolente e malinconico, diretto da una regista con le palle come Lina Wertmuller, ho fatto proprio bene a inserirlo nella promessa di quest'anno.
E il prossimo film per la promessa sarà ancora più toccante.
Non perdetevi questa chicca.
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