Ritorna, con un giorno di ritardo, ma poco importa, il cinema di Orson Welles, di cui sto curando una rassegna speciale.
Oggi parliamo de Il Processo, film tratto da un romanzo di Franz Kafka, che Welles porta sullo schermo in maniera curiosa e intrigante.
Ecco un altro motivo per apprezzare il cinema di Welles, che titolo dopo titolo non fa altro che sorprendermi, e Il Processo non fa eccezione.
Qui c'è un attrice che apprezzo molto, che fa un piccolo ruolo ma efficace quanto basta per rimanere impressa, la grande Jean Moreau.
Film che per la trama potreste giudicare al quanto complesso, in cui un uomo, viene coinvolto in un processo senza sapere il motivo per cui le autorità vogliono processarlo.
La fotografia in bianco e nero fa presagire ad una ambientazione surrealista, e ad un futuro distopico, Welles ovviamente non lo dice esplicitamente, ma lo fa capire attraverso la fotografia spettrale, e le scenografie che danno un fastidioso senzo di claustrofobia e oppressione al protagonista.
Anche la storia di per se è piuttosto allucinatoria, e Welles, da autentico genio della settima arte, narra questa storia in maniera piuttosto cruda anche, rivelando una prigione metaforica in cui si trova il protagonista, che viene espressamente fatta capire attraverso appunto le scenografie e l'ambientazione.
Stranamente non rivela mai allo spettatore il motivo per cui K deve essere processato, ma anzi, mostra anche i continui imbrogli che i cosidetti giudici e avvocati fanno anche alle spalle dei clienti, tutto per arricchirsi.
Il tutto viene narrato come se fosse un incubo ad occhi aperti, infatti lo stile surreale dell'opera da questo senso allo spettatore, e le metafore sulla storia si sprecano.
Comunque ci troviamo di fronte a un grande film, non ho letto il libro, cercherò di farlo ma l'impronta stilistica di Welles è presente, e decide di fare un opera più personale rispetto al romanzo originario, riuscendo anche a coinvolgere lo spettatore in questo incubo claustrofobico e opprimente.
Tocca persino un senso di fastidio durante la visione, ma non è un difetto, anzi, semmai è un pregio, in cui l'effetto deve essere proprio questo.
Non si deve scoprire il motivo per cui K viene processato, ma si deve vivere un incubo, e Welles ce lo fa vivere, mettendo in scena una metafora sul potere e sul condizionamento degli esseri umani, in cui sono coinvolti tutti i protagonisti, compreso l'avvocato.
Un altro titolo che aumenta maggiormente la stima verso questo grande regista, ovviamente lo consiglio a voi, e sicuramente lo apprezzerete molto, soprattutto se amate un tipo di cinema un po' complesso, che si allontana da certi canoni.
Ratings ⭐⭐⭐⭐1/2
Oggi parliamo de Il Processo, film tratto da un romanzo di Franz Kafka, che Welles porta sullo schermo in maniera curiosa e intrigante.
Ecco un altro motivo per apprezzare il cinema di Welles, che titolo dopo titolo non fa altro che sorprendermi, e Il Processo non fa eccezione.
Qui c'è un attrice che apprezzo molto, che fa un piccolo ruolo ma efficace quanto basta per rimanere impressa, la grande Jean Moreau.
Film che per la trama potreste giudicare al quanto complesso, in cui un uomo, viene coinvolto in un processo senza sapere il motivo per cui le autorità vogliono processarlo.
La fotografia in bianco e nero fa presagire ad una ambientazione surrealista, e ad un futuro distopico, Welles ovviamente non lo dice esplicitamente, ma lo fa capire attraverso la fotografia spettrale, e le scenografie che danno un fastidioso senzo di claustrofobia e oppressione al protagonista.
Anche la storia di per se è piuttosto allucinatoria, e Welles, da autentico genio della settima arte, narra questa storia in maniera piuttosto cruda anche, rivelando una prigione metaforica in cui si trova il protagonista, che viene espressamente fatta capire attraverso appunto le scenografie e l'ambientazione.
Stranamente non rivela mai allo spettatore il motivo per cui K deve essere processato, ma anzi, mostra anche i continui imbrogli che i cosidetti giudici e avvocati fanno anche alle spalle dei clienti, tutto per arricchirsi.
Il tutto viene narrato come se fosse un incubo ad occhi aperti, infatti lo stile surreale dell'opera da questo senso allo spettatore, e le metafore sulla storia si sprecano.
Comunque ci troviamo di fronte a un grande film, non ho letto il libro, cercherò di farlo ma l'impronta stilistica di Welles è presente, e decide di fare un opera più personale rispetto al romanzo originario, riuscendo anche a coinvolgere lo spettatore in questo incubo claustrofobico e opprimente.
Tocca persino un senso di fastidio durante la visione, ma non è un difetto, anzi, semmai è un pregio, in cui l'effetto deve essere proprio questo.
Non si deve scoprire il motivo per cui K viene processato, ma si deve vivere un incubo, e Welles ce lo fa vivere, mettendo in scena una metafora sul potere e sul condizionamento degli esseri umani, in cui sono coinvolti tutti i protagonisti, compreso l'avvocato.
Un altro titolo che aumenta maggiormente la stima verso questo grande regista, ovviamente lo consiglio a voi, e sicuramente lo apprezzerete molto, soprattutto se amate un tipo di cinema un po' complesso, che si allontana da certi canoni.
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